VALENTINO VAGO – Atmosferico
di Marta Silenzi
ed. Il Centofiorini 2011
articolo per conferenza "Le immagini luce: Valentino Vago e Claudio Olivieri"
Galleria Centofiorini, aprile 2011



“Guarda a fondo nel mondo davanti a te come fosse
il vuoto: innumerevoli spiriti santi, buddah-compari,
e dei salvatori vi si celano sorridenti. Tutti gli
atomi che emanano luce entro l’essere onda, non c’è
personale separazione di nessuno di loro.
(…) perciò siate tranquilli e fidate (…)”

da 22.
La Scrittura dell’eternità dorata
Jack Kerouac



Alle opere di Valentino Vago ci si avvicina sostituendo tra loro due azioni che l’essere umano compie automaticamente senza doverle pensare: vedere per respirare.
La pittura sottile, stesa a velature graduali e crescenti, soffusa e morbida quasi come priva di pennellata, alleggerisce il petto per mezzo della vista, spalanca la capacità toracica e proietta il fruitore dentro vastità atmosferiche, trascendenti. La sensazione è quella della perdita terrena a favore di un librarsi docile, prima nell'intimo di cieli stratificati e pacificanti, dati per bande di colore emanato più che dipinto, poi dentro monocromi più compatti e decisi, privi di connotazioni spaziali, come luoghi della mente.
Le premesse materiche e pastose alla Poliakoff degli anni Cinquanta attraversano l’Informale per orientarsi nel decennio successivo verso Rothko e quell’all-over cromatico che è la pittura d’inazione newyorkese, tuttavia già in quelle opere compare l’elemento distintivo, tutto italiano,della luce. Le tinte si accendono inevitabilmente, restituiscono calore e luminosità, sono fulgori, lande assolate memori di un luminismo antico, della tradizione pittorica umbra, toscana e certo lombarda dati i natali dell’artista.
Con gli anni Settanta luce e colore si fondono, compenetrano e traspirano; i gialli si fanno vigorosi, gli azzurri più intensi, velature nubiformi subentrano a muovere i piani, ma lievi ed ariose, sottolineando i rari margini con bagliori interni ai passaggi tonali, e fanno la loro comparsa residui segnici asimbolici volti a creare ambiguità in cui “L’osservatore perde i confini, la profondità, il senso dell’opera” – dice Vago. Sono come tracce di una scrittura musicale contemporanea, fatta di suoni che non sono note, perciò bisognosi di nuove forme; sono stilismi dopo Mirò; sono forse evoluzioni dei concretismi di Kandinskij: elementi eidetici della composizione, segni sonori, grafici, cromatici, punti linee superfici.
L’artista rompe la bidimensione ma col solo strumento della pittura, rivoluziona rimescolando gli ingredienti, semplificandoli in realtà, togliendo fino all’essenziale, smaterializzando e concedendosi interamente a sensazioni incorporee, evanescenti, puntinate di segni minimi e piccole ombre a “spostare gli appoggi della superficie”, a muovere i fondali tinti, attirando il riguardante in una caduta libera.
Questo tipo di pittura sembra richiedere grandi dimensioni – e poco più che sigle e numeri per l’identificazione, come versetti delle sacre scritture – , più ci si spinge nell’astrazione più si trova il grande formato e l’opera reclama interamente l’attenzione del fruitore, la sua partecipazione, amplia i propri confini per implicarlo laddove esistono accadimenti pittorici.
Con Vago questo bisogno di vastità arriva all’assoluto: la pittura si fa ambiente e trova perfetto agio su soffitti e pareti che non solo la accolgono, piuttosto si coniugano con le pennellate invisibili, i colori tenui e spirituali – specie quell’azzurro di caratura kandinskijana – , le vaghezze e i tratteggi, prendendo sede stabile entro luoghi pubblici e privati, coinvolgendo l’osservatore nella completezza di un’esperienza sensoriale.
Spazio privilegiato di queste nozze estetiche è senza dubbio quello sacro.
Il silenzio, la contemplazione, l’eco, la luce naturale che cade dall’alto, l’architettura studiata per accogliere, sono elementi che si accostano perfettamente al modus di Valentino Vago. La chiesa assorbe i cumuli soffusi, i veli d’aria, le tinte quiete e spirituali e si dispone all’azione pacificatrice, al rasserenamento; la pittura si stende sui capi e sugli animi eterea, celeste, ampia come sulle tele, solo più capace di cingere e abbracciare l’uomo nella sua offerta mistica.
Le commissioni pubbliche si sommano negli anni ma il supporto bidimensionale non viene tralasciato. L’artista continua la sua ricerca cromatico-luministica spingendosi all’interno di tinte più scure, neri foschi attraversati da frammenti che hanno le qualità dell’attimo e della sorpresa; infiniti indaco, oltremare, cobalto, volti ad assaporare e rendere sensazioni più notturne nelle quali però la luce non cede al buio, resta un bagliore temperato dietro i nembi, come un’aura pulviscolare dentro un regno atmosferico.



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