Desco Bianco
una cena dipinta

di Marta Silenzi
presentazione mostra personale di Pg
Galleria Comunale Vincenzo Foresi Arte Contemporanea
Civitanova Marche
9-23 settembre 2012
(ampliamento testo Il gusto di Pg)

È un patto segreto tra gli aromi, un accordo clandestino, una congiura di sapori inscenata per via di spatola e pennello ai danni del fruitore che, incauto lungo un percorso sensoriale ad alta possibilità di combustione, cade irretito nel calderone saporoso e tonale del gusto come lo sente Pg. 

Ad un ipotetico desco bianco, cui si accede da una porta che è l’ingresso surreale per l’ambiente del sapore, dentro stoviglie e bricchi immacolati – come fossero contenitori neutri e cerosi di un variopinto contenuto – s’infiamma l’universo culinario, distinto in picchi densi e sostanziosi, furie inebrianti, vapori, atmosfere che fanno del gusto un senso privilegiato, composto in percentuali anche da tutti gli altri: scortato dalla vista invogliante, spezzato dalle mani che portano il cibo alla bocca, legato indissolubilmente ai profumi, agli odori e capace di provocare squilli e tintinnii nelle orecchie fino ad arrivare al cervello, nel capriccio di un’apoteosi sensoriale. 
L’ondata sapida parte dalle labbra, sulla lingua, e si scioglie attorno alle papille gustative che crescono come fiammelle nutrite di tinte e gradazioni cibarie, si diramano in succose paste alte a trattenere il piacere dei vari piatti dentro cavità, discese e avvallamenti materici, in un grumo rosso ciliegia, lungo una scia dorata di sciroppo d’acero, nello spazio quadruplicato del supporto. L’andirivieni della degustazione è una tortura estatica cui corrisponde l’agitazione della superficie tesa a cogliere miriadi di successioni tonali, tante quante sono le possibili variazioni di sapore durante la masticazione, fino all’atto eccelso e conclusivo del deglutire. 
Il tema intrinseco dell’eros, dell’afrodisiaco è associato alle gustosità saline, nella veste infuocata e danzante di aragoste afrodite, il cui corpo di crostaceo è appena accennato in un angolo del massoso ciclone informale che è la costante scelta base della pittrice; le due versioni mostrano il corposo interno bianco del pesce reale a contrasto con la scocca lucida e attraente, a restituire morbidezze interne e scabrosità esteriori del più semplice e prezioso dei sapori marini, giusto un po’ di nero a sottolineare profili e spingere tensioni. 
Sul lato opposto del focoso artropode, Pg allunga una discesa di sale (acquatico) dal carattere lunare. Sinuosità e perlescenze marine, vibrazioni coralline, squamature argentee emergono ad ondate nell’idea magari di un’orata in crosta di sale o di un branzino al cartoccio, lasciando che permanga intorno il ricordo di pacifici isolotti esotici, chiassose pescherie di paese o vigorose profondità mediterranee. 
Robusta ed acerba s’inserisce sul palato, ballando sulle gengive e pizzicando nella gola, l’aspra presenza delle scorze di limone in ascendenze e freschezze di tonalità verde cinabro: una pulizia della bocca affidata ai giallo-verdi che scuriscono agli estremi in corrispondenza del retrogusto amaro ed acre dell’agrume, spingendosi a volte però fino ad assaggi biancastri, coniugazioni con altre pietanze, forse un po’ di zucchero di limonata. 
La cena è accompagnata da un classico vino bianco, una tela totalmente a spatola che accosta taches ambrate, paglierine, dorate, affidando alla fluidità del colore ad olio la resa della trasparenza, mirando ad evocare il liquido e la sua perfetta esaltazione del cibo. 
È poi tempo di dessert, di voluttuosi cedimenti. 
Predisposto al rapimento il riguardante arriva al vertice del desiderio risvegliato dalle glasse al cioccolato pasticciate ed aromatizzate tra nocciole e petali di rosa, e crede di morire di sapore davanti alle paste stemperate sulla tela, annodate e liberate in accenti purpurei, succose da non riuscire a trattenere la salivazione profumata, sensuali da sciogliere le inibizioni e spingere ad affondi di mani oltre che d’occhi nella superficie materica fin quasi al bassorilievo. 
Il pasto termina con il consueto caffè, ma bianco, cercato nelle sfumature dell’aroma, nelle scie di vapore denso e odoroso, tornando al candore di base e al polimaterico come filo conduttore di questo viaggio pittorico-gastronomico, dentro le tele incorniciate, piccole come due tazzine, come due espressi profumati precorsi da un sentore nell’aria. 
Resta un momento ancora da gustare. 
È l’ora della condivisione o piuttosto del raccoglimento. È una concessione che funge da prolungamento della piacevole esperienza, quando a radunare tutti gli aromi assaporati si indugia nella scelta di una chiusura, prima del sipario sull’ultimo atto. 
L’animo, calmato e disteso, scivola in trasparenze e velature dalle nuances tenui e fiorite di filtri e liquori (distillati), come a completare l’incanto di una malia cha ha deciso di subire consenziente; Pg procede nello spazio della tela per spatolature chighiniane (come per il vino), delicate come sovrapposizioni di elisir di sottobosco: grappa al mirtillo, acquavite alle more, sidro, siero di prugna, vinaccia . . . A fine percorso dunque ci si desta dall’incantesimo illusivo di questa pittura che riesce attraverso un linguaggio immaginifico – anche se essenzialmente aniconico – a restituire percezioni non visive, e si deve comprendere e tenere a mente la particolare e non semplice sottigliezza di poter intendere e tradurre nel codice pittorico questioni astratte, sensazioni fisiche assolutamente non figurative. È un cosmo ardente, poetico e sensorio quello di Pg, capace di riempire gli occhi e di lasciarci affamati.










inaugurazione mostra 
Desco Bianco - una cena dipinta
opere Pg
9 settembre 2012: