MASSIMO CAVALLI – analitico sintetico
di Marta Silenzi
ed. Il Centofiorini, 2011
articolo per conferenza "Gli svizzeri: Cavalli, Dupertuis, Ferrari, Realini"
Galleria Centofiorini, novembre 2011


“Costruisco combinazioni di linee e di colori su una superficie piatta, per esprimere una
bellezza generale con una somma coscienza. La Natura (o ciò che vedo) mi ispira, mi mette,
come ogni altro pittore, in uno stato emotivo che mi provoca un’urgenza di fare qualcosa, ma
voglio arrivare più vicino possibile alla verità e astrarre ogni cosa da essa, fino a che non
raggiungo le fondamenta (…). Credo sia possibile che, attraverso linee orizzontali e verticali
costruite con coscienza, ma non con calcolo, guidate da un’alta intuizione, e create con
armonia e ritmo, queste forme basilari di bellezza, aiutate se necessario da altre linee o curve,
possano divenire un’opera d’arte, così forte quanto vera.”

Piet Mondrian



Un percorso coerente. Una progressione fedele, di alto grado meditativo, una capacità di penetrazione ottico-percettiva sorprendente. Un lavoro a togliere, una spoliazione che avanza fino all’elemento ultimo, e poi un sovrapporre, muovere, tirare, dislocare ad libitum, quasi fino ad esaurire le combinazioni possibili.
Massimo Cavalli punta il suo intero cammino artistico sull’essenziale, concentra il suo occhio espressivo sulle fondamenta dell’immagine e, dai residui mimetico-materici d’impronta ultimonaturalista, cava masse per via di prosciugamento, risalendo all’armatura che le sostiene, ciò che sta dietro, ciò che sta dentro, risolvendo ogni questione figurativa in una tensione lineare e ritmico-spaziale che ha merito supremo nel tratto, nel segno.
Rose, girasoli, rocce, tramonti e figure lasciano velocemente il campo alle strutture vegetali, ai motivi, alle prospettive, alle incidenze, tutti termini che, nelle titolazioni, testimoniano un andare della poetica e dell’attenzione verso l’astrazione, verso l’individuazione dell’ossatura di un’immagine che gradualmente sovrasta il discorso iletico per imporsi come sovrana, tesa ad una vigorosa asciuttezza dei mezzi e una bilanciata complessità delle configurazioni, che stupiscono per l’incredibile forza dei tratti e dei profili e per l’eleganza cromatica di alcuni sublimi accostamenti. 
Né paesaggistico né figurale, e nemmeno anoggettuale alla maniera degli informali, Cavalli ha un occhio acuto che passa ogni sembianza ai raggi x e va diretto all’intelaiatura, a quei profili, agli staccati, ai dati sintetici ravvisabili, a ben guardare, anche nelle pitture più cremose, in quelle fasce larghe di colori giustapposti che agli inizi già sanno esaltarsi a vicenda e puntare ad un valore autonomo, così come nella verticalità di certe altre produzioni che rispondono al richiamo dell’accosto, della sovrapposizione minima eppure elettrica, della vivezza insita che riluce sui fondi scuri, carica di un luminismo raffinato e prezioso, come invetriato. 
Dunque la misura, l’equilibrio, il ritmo sono gli strumenti con cui l’artista filtra l’immagine e la restituisce a livello di linee, righe, graffi, solchi, fasci, organizzati a chiasmi o in sistemi di parallele, giocando tra il positivo e il negativo, appoggiandosi su componenti e motivi peculiari – come l’elemento circolare semiaperto e concatenato – che sanno tornare a distanza di tempo frutto di evoluzioni metamorfiche le quali, una volta di più, ci mostrano l’accurata, paziente o furiosa analisi di ogni variazione possibile. 
È chiaro che, nonostante l’artista sia poliedrico ed affronti tutti i mezzi bidimensionali provando ogni medium, questa squisita indole segnica produca capolavori di particolare riuscita nell’arte incisoria. Massimo Cavalli è maestro grafico, le sue acqueforti restituiscono la poesia e la dedizione del lavoro certosino, trasmettendo al contempo un carattere davvero mordente, col vibrato nervoso, la sottile inquietudine, la forza dei solchi diversamente incisi sulle lastre di rame o su quelle di zinco. 
La sapienza compositiva e lo sguardo allenato alla vista d’insieme lo portano a risultati di grande finezza nelle tecniche miste, dove l’unione con l’acquatinta genera morbidezze impalpabili e sensibilità vicine alla bellezza di certi acquarelli cerulei vagamente malinconici, e dove la puntasecca affonda artigli capaci e caparbi, ricchi di spezzate e saette e sistemi d’aghi tutt’intorno.
Una ripresa delle fasce larghe e un’eleganza cupa alla Pierre Soulage, con effetti di rilievo, la troviamo nelle litografie o nei collograph, dentro affascinanti trasparenze nere e liquide in cui è chiaro il lavoro luministico dell’artista ticinese, che non oppone le ombre alle luci, piuttosto ne fa una questione di maggiore o minore visibilità, aprendo varchi o squarciando le peci come muta il cielo dentro un temporale. Ma ci sono anche tinte forti da considerare, rossi vermigli, verdi bruni, ocre e blu oltremare accendono splendide litografie a tre colori, dagli esiti serici e vellutati. 
Questo disegno analitico-sintetico ha una decisa origine razionale, è frutto di una concentrazione, un’applicazione tale al segno, alle scansioni, alle proporzioni che Cavalli sembra vittima di un assillo interiore, ed è una spinta di caratura cerebrale ma anche emozionale, specie in quei tratteggi veloci (anche nei carboncini) e in quelle nervature che appaiono più istintive, come tagli di lama o impalcature di steli.
Ci sono rapporti di forza in tutte le cose: il visibile si presenta secondo diverse vesti ma all’interno è mosso da tensioni che lo animano, che sorreggono, come le particelle elementari, come i fonemi in una frase, come le ossa in un essere umano unite al pensiero che vi scorre in mezzo e produce guizzi, slanci, reti di elettricità. Queste radiografie di Cavalli permettono una visione ed una conoscenza ulteriori, a metà tra un cesello orafo e le macchie di Rorschach, a metà tra la composizione pura e tutti i suoi significati, mostrandoci la vita che pulsa sotto l’ultimo strato di pelle.




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