Tema e variazioni
di Marta Silenzi 
ed. Pagine d'Arte, 2014
testo catalogo ragionato dell'opera grafica di Massimo Cavalli


È una questione di disegno. Ed il disegno è una questione di linee. Queste sono le fondamenta dell’opera di Massimo Cavalli.
La strada pare tracciata sin dai primi anni produttivi, rivelata all’artista o da lui individuata in modo inequivocabile: il Kunstwollen è deciso, c’è un riconoscimento da subito definitivo eppure aperto alle più ampie opportunità di realizzazione. È il 1954 e Cavalli dà avvio a quello che diventerà un corpus di circa 700 incisioni affiancate da 125 litografie, un numero impressionante se si tiene conto della severa selezione cui lo sottopone l’artista, prolifico quanto Bartolini ed esigente quanto Morandi, due dei più autorevoli incisori esistiti, dalle sensibilità paesaggistiche agli antipodi fra loro e rispetto allo stesso Cavalli, che parte sì dalla natura ma per liberarsene appena può. Sono ancora plausibilmente figurativi gli esiti di quell’anno, sei acqueforti su zinco che si chiamano Paesaggio e il cui dato invernale è probabilmente colto nel fondale bianco, mentre il resto di alberi e confini è affidato ad un tratto frenetico ed espressionista, specie nei primi due, che allenta lievemente, facendosi più delicato nel quinto. Subito si palesa una peculiarità della produzione di Cavalli: siamo ancora ai primordi e, sebbene ci sia stata sicuramente una sufficiente sperimentazione pregressa, l’artista sta ancora mettendosi a fuoco, eppure già procede per gruppi semantici in stretta successione, cercando di esaurire la vena individuata e poi muovendo un passo a lato. Lo spiega molto bene Giuseppe Curonici nel volume di Scheiwiller del 1977, parlando di innovazioni tecnico-stilistiche che si affermano con brevi cicli circoscritti di opere omogenee cui seguono recuperi e ritorni affinati e rinnovati. Si vedrà infatti più avanti come l’artista non lasci mai andare del tutto i motivi e i soggetti trovati, dando forma ad un immaginario continuamente riaffrontato e mutato alla luce di ogni nuova esperienza.
Questo primo guizzo di creatività incisoria in cui Cavalli sembra essere caduto profondamente nel 1954 con i sei paesaggi più una Natura morta, sono seguiti da due anni vuoti per la calcografia, due anni spesi per la pittura, molto materica, il cui soggetto è espediente per studi cromatici e luministici, pennellate dense e in fondo segniche che progressivamente spostano l’attenzione da un’individuazione mimetica al ductus che la compone. Sono vasi di fiori ma non è poi così importante ritrovarli sulla tela tra un colore e l’altro, dentro i vortici che l’energia pervasiva dell’artista crea tenendo conto della visione e di tutto il contesto sensoriale attorno ad essa; è comunque utile dare uno sguardo ai titoli per comprendere come si orienti il campo d’indagine nel tempo, come si muova a macchia, circolarmente ma sempre in avanti, senza arresti né rifiuti, in continua crescita e trasformazione. 
Nel 1957 Cavalli torna all’acquaforte (...)