Marcel Dupertuis
13 esercizi e una radura
di Marta Silenzi
ed. Il Centofiorini, novembre 2013
testo in catalogo della mostra "13 esercizi"
Galleria Centofiorini, 9 nov 2013 - 5 gen 2014 



n.12

Il bronzo esce dalla fonderia scuro, cupo; è fuso in lingotti già pronti con le dovute percentuali di stagno e rame dominante, per avere la giusta durezza; all’interno ci sono anime di rame saldate, affinché resista alle torsioni e alle trazioni. Sono tredici sculture. Ognuna prende un fondo di polvere di titanio che successivamente accende le altre polveri di colore. Giallo limone, rosa chiaro, arancio, rosa-bianco, verde cromo, bronzo naturale, grafite, bianco calce, rosa più intenso, ancora bronzo, rosso cadmio, verde cromo chiaro, rosa carminio. Sono colori tornanti, esercizi che hanno un ritmo di esposizione, nucleo e ripresa (5 + 3 + 5), una simbologia, un esito, creano una situazione psicologica alla quale concorrono anche opere su carta in dittici verticali, per arrivare laggiù, alla radura: l'illuminazione, una quattordicesima scultura, monumentale, perché il cammino è sempre in crescita e forse non ha mai un arrivo.
Marcel Dupertuis con questa ricerca, questa pratica fatta di tredici passi, eseguiti tra Lugano e Pietrasanta, tra 2012 e 2013, compie un percorso, un tirocinio psicomotorio che affonda le sue radici e le sue ragioni nell'ontologia, nella letteratura mistica, nella formulazione linguistica, nella filosofia dell'arte; i concetti li elabora e li fonde in tredici bronzi la cui linea continua sembra materia duttile sotto una diteggiatura esperta: sono corpi filati e ritmati, frammentazioni, come piccole giunture d'ossa, come infinite colonne vertebrali mosse ed ellittiche, forme chiuse e inarcate, dalla cromia gravida e allegorica, che sembrano aver disperso l'angoscia esistenzialista degli anni passati verso un'apertura più chiara, eppure sempre meditativa e sempre umana.
La ligne continue, dato riconoscibile, cifra stilistica, elemento identificativo dell’artista, è ancora una volta riesaminata, portata ad un livello superiore. La linea è anche figura, stilizzazione estrema, essenzialità, è una linearità incarnata che negli anni ha attraversato fasi di ricerca e osservazione progressive, scavando più a fondo, salendo più in alto: dalla linearità strutturale degli anni ’60 (Structure, Parigi 1965), Dupertuis è approdato nel nuovo millennio alla linearità organica; da un rapporto gravitazionale con la terra attrattiva da cui le sue sculture non sapevano rialzarsi, è giunto ad uno spazio vuoto, aria e corpo che la sua linea attraversa e racchiude, in danze, arabeschi, posizioni yoga, esercizi che andando avanti da 1 a 13 scintillano di apprendimento e conoscenza, come un’edificazione, come un’ascesi.
I colori sono l’elemento conduttore più delle forme assunte. Il giallo, l’arancio sono componenti di luce; le due tonalità di verde sono un richiamo alla natura, alla nascita, alla linfa che è fonte di vita; il bronzo, la grafite, il bianco calce (gruppo di 3 centrale tra i due di 5) tendono alla terra, al ricordo, alle cadute e agli ormeggi dell’uomo; il rosso è il sentimento, un cadmio chiaro per il battito, la pulsazione cosciente, il riconoscimento dei sensi. E poi il rosa, una tinta tornante in gradazioni variate, un’allusione alla carne, al corpo, alla fisicità ma anche alla sensualità, perché gli esercizi sono una pratica spirituale e insieme sensuale: è una compenetrazione semantica, una spiritualità dei sensi quella che compie tredici passi verso l’illuminazione, verso la radura, la Lichtung heideggeriana incarnata (ed il termine è accurato perché di muscoli e tessuti sembra fatta, di ossa rivestite di tendini e nervi, nell’unione di Essere e carnalità) dalla quattordicesima scultura, di ordine monumentale, rosa, progettata per il Centro d’Arte Contemporanea di Kerguéhennec, posizionata quasi in sospensione, con un doppio gioco di densità della massa e leggerezza dell’insieme che permette l’attraversamento di una persona, offrendo interamente al fruitore la tridimensionalità plastica dell’opera.
Il viaggio è accompagnato, come di consueto, anche da opere bidimensionali, tempere su carta concepite in suite, dai toni rossi, bianchi e neri, gialli con tracce di grafite, dominati dalla ricerca sulla dialettica basso-alto già iniziata nel 2000 e coerente per concetto e tavolozza con le sculture.
Ci si muove su un piano finemente intellettuale quando si accostano le opere di questo artista, le sue essenzialità scultoree o pittoriche richiedono letture approfondite per comprendere la riflessione e l’indagine penetrante che ogni volta le introduce e le trasporta.
È partito da Ignazio di Loyola, De Sade, Fourier, dal libro di Roland Barthes, Dupertuis per arrivare alla Lichtung 1, ha attraversato Agamben e riletto Heidegger, cercando, io credo, le possibilità dei linguaggi, le espressioni dell’Essere, di cui fanno parte le immagini, prodotte dall’artista, prodotte dall’uomo e quindi inscindibili da esso, dalla sua storia; perciò le immagini, le sculture, le opere d’arte sono necessarie al racconto, al ricordo, necessarie alla conoscenza; Didi-Hüberman, nel suo Images malgré tout (altra fonte dell’artista) spiega che “per sapere occorre immaginare”, in un tragitto alla ricerca di un equilibrio tra visibile, invisibile ed intelligibile, ed è quello che sembra proporci Marcel Dupertuis guidandoci su questi tredici scalini: guardare, immaginare, percepire, sentire, fino al diradarsi delle eccedenze, fino all’illuminazione.

 n.4
n.1
n.9 e 13, n.5
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n.7