THE WIDE SEA COMES EACH MORNING

nota per Stanze, n.1 Natura, marzo 2022 
di Marta Silenzi 



Un'estrema delicatezza. Un occhio puro che sa vedere, una mano ferma che sa cesellare. Un animo attento che sa ascoltare la Natura, entrare in empatia, andare alla ricerca del selvaggio sfidando il mare ed il vento, quelli islandesi, mettersi in relazione con gli elementi e con i materiali semplici e perfetti che la Natura offre e assecondarne la trasformazione.

Tamara Ferioli (classe '82, studi all'Ecole des Beaux Arts de Lyon e diploma a Brera) ha questa sensibilità che sfiora le origini ambientali e le riflessioni esistenzialistiche, lo fa con un garbo manuale ed una finezza espressiva che richiamano subito precisione e pulizia, del foglio leggerissimo dove disegna, delle architetture immaginifiche che evoca, di tutta la sua produzione, dalle installazioni alle fotografie.

Sono del 2018 queste sculture realizzate da ossa di pesce selvatico del Nord Atlantico: scarti del pescato che assumono forma vegetale, fiori dalla struttura a incastro perfettamente offerta dal materiale organico, cavità e prominenze anatomiche, porosità, filamenti appuntiti e un biancore d'avorio che l'artista assembla come per un prodigio, mostrando la bellezza plastica, l'esattezza, l'ordine seriale, i principi matematici sottesi ai sistemi biologici di una Natura Sapiens tutta da osservare.

Installazioni di The wide sea comes each morning sono andate in mostra alla Galleria Officine dell'immagine di Milano assieme a disegni a matita, capelli e carta applicata, in un concept chiamato VITA, termine omofono e omografico del verbo islandese che significa sapere, e ancora al Palazzo dei Priori di Volterra con REBIRTH, alludendo al ciclo della vita in cui ogni trasformazione è una rinascita.

MIRKO BARICCHI. LA SOTTRAZIONE DELLE COSE
articolo/intervista per Stanze, n.1 Natura, marzo 2022 
di Marta Silenzi



Cose. Simboli-oggetti di uso comune, ciotole, sedie. Cose evocate, ripescate nella fluttuante memoria, comparse sui toni bruniti, come elemento disordinato e poetico nell'ordine organizzato dello spazio. Toni bassi e pacati, intimità diffusa di accadimenti, pittura di velature, collage a palinsesto, ocra, bianchi, bitume. Sogni ed inquietudini forse, libertà sempre, della pennellata, del segno, dell'immaginazione produttiva, della percezione all'erta. Il pittore nudo di fronte a se stesso, al suo mondo interiore e di fronte alla pittura che è verbo espressivo, è lingua che parla, che assorbe e restituisce con una volontà propria, catalizzatrice del circostante attraverso il corpo-mente dell'artista e creatrice attraverso la sua mano. C'è spazio per tutto. Non c'è spazio per nient'altro.

Mirco Baricchi (una k spuntata per gioco nei cataloghi al posto della c), si aggira tra gli anni Novanta ed il primo decennio del 2000 in queste atmosfere piene di apparizioni, di frammenti, di evocazioni, senza intenti narrativi, restando in ascolto dell'impercettibile, come un medium fa con i fantasmi, dipingendo una sua imagerie, un suo personale sentire, sensibile alle influenze dei suoi contesti e del suo tempo, sì, ma senza particolari debiti, individualista, fedele al suo pennello, a ciò che accade nel suo studio spezzino, semmai alle esperienze in Messico e al gusto per le sfumature che gli hanno lasciato. È attratto dalle tecniche miste, non si pone limiti, si apre a tutto quello che la sua pittura chiede, a tutto quello che la sua pittura porta.

Dal 2008 inizia la collaborazione con Cardelli & Fontana di Sarzana e tutto quanto si aggira nei suoi quadri fino a quel momento non si perde, non si perde mai a dirla tutta, e si esprime sulle tele di una mostra che prende il titolo di Cloudy, un suono dolce inglese scelto perchè qualcuno di vicino e con semplicità pone l'attenzione su qualcosa, nelle tele, che potrebbe anche essere figurale, un orizzonte, un cielo nuvoloso, che magari l'artista aveva dentro ed è emerso con temperamento automatico, lasciandosi scoprire a posteriori, ed ecco che parte un apprezzamento per le nuvole ed un primo avvicinarsi ad elementi naturali, atmosferici, per caso oppure no.

Arboree, tramonti, piogge e nuvole, terranei sono soltanto alcune delle indicazioni naturalistiche che Baricchi lascia come sedimenti, come sassolini lungo un cammino complesso, giocato su toni scuri e bronzati, grigio-azzurri notturni, velature e sgocciolature in spazi bi o tripartiti in cui avvengono accadimenti e apparizioni giocose, le cose, appunto, che tornano e torneranno sempre, conigli e radici, culle, lettini appena abbozzati figli di piogge e temporali, frammenti di frasi e girotondi, parole in corsivo, lettere sospese, stivali, la poetica del muro, la casualità del dripping ed un gusto generale che raccorda e sa mettere tutto in perfetta armonia.

È un momento propizio, catalitico, la nascita del legame con la galleria di Sarzana, il passaggio da uno studio diviso per stanze ad un open space che gli permette di entrare nei quadri come fossero scene, in contatto costante, in colloquio continuo. La bellezza della mostra e della produzione di questo periodo si riflette anche nel catalogo ed in tutti quelli che Baricchi realizza in seguito con Cardelli & Fontana.

M.S. Ho amato molto certi tuoi cataloghi, la scelta di inserire foto d'insieme degli allestimenti, foto in studio come una sorta di making of.

Quanta parte ha Mirko Baricchi nella realizzazione dei cataloghi?

M.B. Adoro la carta stampata. Fin da bambino. E subisco il fascino della grafica in generale, ma

quella tedesca e scandinava mi hanno sedotto. I miei cataloghi sono il frutto di un lavoro a quattro

mani con il mio gallerista di Sarzana, Galleria Cardelli & Fontana.

Ci si conosce da molto tempo e c'è una sorta di empatia, una predisposizione per l’eleganza austera di certi libri anni 70. Il libro catalogo deve in qualche modo informare e intrattenere con dosi funzionali di didascalie. I luoghi della lavorazione o le installation views sono a mio avviso molto illuminanti, oltre che essenziali nel ritmo di un racconto.

È questo anche il momento in cui si fa più stretto, sebbene in maniera del tutto spontanea, il focus sulla Natura. 

Nel 2010 Mirco Baricchi realizza una mostra per la Galerìa Barcelona, di Barcellona appunto, che prende il nome di De Rerum ed è come un discorso ininterrotto da Cloudy, sono atmosfere similari ma non identiche, qualcosa va lentamente schiarendosi a volte, i bianchi sono bagliori racchiusi nel buio, conigli-fantasmi dall'animo arboreo, epifanie una dentro l'altra, le cose ancora, file e file di banchetti, conigli saltellanti e pinocchi e, con le cose, ramoscelli ed arbusti, lande orizzontali e parallele di bianche spiagge e pioggia mista, come dimensioni a confine che tendono a parziali sovrapposizioni: si ha l'impressione costante di assistere a prodigi impalpabili, magie del ricordo. Quello a cui assistiamo è l'inscenarsi del mondo di Mirco Baricchi, poetico, intimo, circostante, che non si ritrae, anzi, che accoglie ogni elemento che va a bussare alla sua porta, restituendo sensazioni, gesti, suoni, odori, tutto ciò che avviene tra tela e pennello, tra uomo e supporto, qualcosa che assume forme diverse per ogni osservatore. Nessuna interpretazione sarà mai definitiva, l'arte è un'intuizione difficile da tradurre a parole, si può cercare di evocare ma un mezzo non verbale non lo si afferra mai del tutto e in fondo ciò che conta è la realizzazione, il produrre, lo staresene lì con matite, carboncini, pennelli e colori: un retino per catturare le farfalle, il terreno che calpesta il pellegrino. (...)