Arnoldo Ciarrocchi in mostra a Rimini
articolo per Millepaesi, marzo 2011
di Marta Silenzi


Non di una consueta mostra d’arte parliamo. Non di una consueta sede, di un consueto curatore, di un consueto pittore e di sua moglie. Non di una consueta pittura.
Arnoldo Ciarrocchi – opere rare, esposizione che Linea d’ombra inscena a Castel Sismondo a Rimini fino al 27 marzo 2011, come una piccola poesia intima tra i due poemi degli impressionisti (Parigi, gli anni
meravigliosi, Impressionismo contro Salon) e dei caravaggisti (Caravaggio e altri pittori del Seicento), è un’esperienza dal carattere semplice e straordinario.
Il 5 febbraio durante l’inaugurazione, che vede presenti molti concittadini del pittore, si crea un’atmosfera
particolare, emozionata, priva delle sovrastrutture e dei formalismi che spesso accompagnano i momenti pubblici: ci sono le opere della collezione privata – paesaggi asolani dati a tocchi e pennellate essenziali, ritratti familiari, quieti e domestici, nostalgie –, gli amici di tanti anni, Rinalda e il suo bel viso sicuro, fiera e salda compagna del pittore, ed il racconto affabile di un ricordo ancora intenso del curatore, che a vent’anni conosce per la prima volta l’artista e subito intende la magia della sua terra d’origine, fatta di colline, luce, acciottolati di paese, vicoli, mesti pomeriggi domenicali al bar sotto i portici, ocre di campagna, silenzio, suoni della natura e poco lontano l’odore del mare.
Lo scrive nel catalogo che accompagna la mostra, Marco Goldin, che l’opera di Ciarrocchi è un ricordo, molto vivo, personale, di chi l’arte la faceva e la viveva e di chi iniziava a respirarla, a mezza Italia di distanza (a Treviso), per poi farne l’imperativo di una vita. Lo scrive lasciando che i propri ricordi e quelli del maestro si confondano come una parentesi che rimane aperta nell’unica radice dell’affetto.
Personale. È questo il termine, la suggestione, che rende inconsueta la mostra e con essa tutti e tutto il resto: la pittura di Ciarrocchi, nelle due stanze riminesi, e dovunque, parla un linguaggio genuino, sentimentale e concreto, fatto della pastosità delle sue terre marchigiane, di una pennellata che sfalda i confini per svelare un racconto più riservato, eco di parlate paesane (L’Asola, 1977), di intese domestiche e coniugali (Autoritratto con Rinalda, 1995), di presenze marine oltre la collina (Paesaggio di Fontespina n.3, 1968 ca.), di campi e di cielo e di colore tutto intorno (i vari Paesaggio dell’Asola), a perdersi e a ritrovarsi, col tempo che passa e incide la propria pelle come fa con la campagna (i vari Autoritratto), dentro quelle nuances rosate che restano negli occhi senza uscirne più.
Goldin narra vivace del suo primo incontro con Arnoldo e qualche amico civitanovese non s’impedisce una lacrima, a sottolineare quanto speciale sia il momento, quanto lo sia la pittura, quanto lo fosse il pittore, sotto gli occhi di chi – come me – guarda oggi al paesetto arroccato e alla campagna che gli respira intorno e trova ancora quella visione placida, quelle ore trascorrenti, quella luce mutevole che Ciarrocchi prendeva e restituiva come parole del suo racconto personale.




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