di Marta Silenzi
testo per la performance Azione Albatro (ali e fede) di Marco Casolino
Artistic Vision Gallery
Civitanova Marche
“Spesso per
divertirsi, i marinai /catturano albatri, grandi uccelli di mare, /
che seguono, indolenti / compagni di viaggio, / la nave che scivola
sugli amari abissi.
Appena deposti sulla
plancia,/ questi re dell’azzurro, vergognosi e timidi, / se
ne stanno tristi con le ali bianche / penzoloni come remi ai
loro fianchi.
Che buffo e docile
l’alato viaggiatore! / Poco prima così bello, com’è comico e
brutto! / Uno gli stuzzica il becco con la pipa, / un altro,
zoppicando, scimmiotta l’infermo che volava!
Il poeta è come quel
principe delle nuvole, / che snobba la tempesta e se la ride
dell’arciere; / poi, in esilio sulla terra, tra gli scherni,
/ con le sue ali di gigante non riesce a camminare.”
Charles Baudelaire
L’albatro
da I fiori
del male
L’uomo-albatro
exilé sur le sol cammina a fatica, si porta dietro un peso
d’ali e un peso di fede.
Queste
estremità piumate, simboliche, magnifiche, sono dell’uccello
marino, terreno, non angelico, eppure qualcosa di spirituale soffia
in questa sua azione, è una spiritualità poetica e malinconica,
l’uomo è insieme il diomedeide e il poeta dei versi di Baudelaire,
e se ne sta vergognoso e timido ciononostante incede con fermezza,
saldo; con ses ailes de géant è difficile camminare, ma
questo essere non ha la goffaggine dell’animale a terra, ha
piuttosto la sua eleganza in volo. Avanza, attraversa il traffico, lo
interrompe, ferma l’andare ritmico delle giornate qualunque e la
poesia gli risuona intorno, trova spazio tra le labbra, chiede un
silenzio ai rumori, mentre procede scalzo e non guarda altro che il
suo cammino, lento, morbido all’occhio, ruvido al contatto, dove
tutto stride e protrae spigoli.
La sua
fede non ha nulla di religioso, la sua fede è riposta nell’azione
stessa, fonte del coraggio necessario per esporsi (più che nudo)
agli occhi della gente, che non comprende, che in qualche caso
intuisce il senso di un gesto tanto lirico, partecipa al passaggio
del voyageur ailé, ma perlopiù schernisce, sosta
infastidita e resta nel suo piccolo universo di luoghi comuni ed atti
stanziali.
Un animo
sensibile (quello dell’artista) è libero e capace di sollevarsi (e
sollevare chi guarda e si accoda) da terra, può diventare roi de
l’azur, prince des nuées, ma è circondato da una
società che imbriglia la poesia, impedisce il volo col suo mediocre
cinismo incolto, la società a cui tuttavia quell’animo poetico
appartiene, ancora estraneo ed esiliato, e allora ecco l’azione,
ecco l’attraversamento che rischia anche la contaminazione, il
tentativo di fermare il tempo e bloccare l’elemento pratico e
concreto con l’etereo mondo della percezione e dell’empatia,
quello scintillio sonoro provocato da una visione, da un passaggio
incorporeo, da un’astrazione mentale.
Cammina
nella città l’uomo-albatro, forse cerca il suo mare, una melodia
interiore lo sospinge fino a che non si libera dell’armatura d’ali
– come l’angelo di Wim Wenders che vuole farsi terreno e cadere
tra gli uomini -, l’albatro restituisce l’identità all’artista
che, così, dice di poter tornare ad esprimersi. Eppure, non era
l’azione stessa un’espressione? Sì, e questo spiega la fatica
dell’andare eretto e tenace dove si è soggetti alle beffe, spiega
l’impegno e lo sforzo di narrare uno stato d’animo complesso che
è quello dei solitari, mentre le ali si trascinano e raccolgono le
tracce e gli odori delle strade percorse, dei viaggi compiuti.
Evocativo!
RispondiEliminaG.
Jonathan Livingston doget!
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